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Cancellazione della residenza

Gli stranieri che vogliono presentare domanda di cittadinanza italiana per residenza si trovano spesso a fare i conti con un problema molto serio, che tocca proprio il requisito fondamentale del procedimento. Parliamo del cosiddetto “buco di residenza”.

Cosa comporta la cancellazione della residenza o buco di residenza

Subire un provvedimento di cancellazione residenza anagrafica, che di fatto comporta la perdita della residenza italiana, è un colpo durissimo per tutti gli stranieri che desiderano presentare la domanda di cittadinanza italiana.

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Significa, infatti, che il numero degli anni di residenza in Italia dello straniero tornano a “zero”, perché la residenza deve essere continua e ininterrotta, e la cancellazione anagrafica ha proprio l’effetto di interrompere la residenza. La cancellazione residenza italiana per irreperibilità, come gli altri casi di revoca residenza anagrafica, è un provvedimento lesivo per chiunque, ma in modo particolare per uno straniero.

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Immaginate chi si vede cancellare la residenza dopo quasi 10 anni di regolare iscrizione anagrafica, e che di colpo, dall’idea di presentare la domanda di cittadinanza da lì a poco, si ritrova a dover aspettare di nuovo 10 anni!

Senza contare che, a volte, lo straniero che si è visto togliere la residenza viene a sapere della cancellazione di residenza italiana soltanto a procedimento di cittadinanza in corso, addirittura quando il Ministero dell'Interno gli notifica il preavviso di diniego per, appunto, mancanza del requisito della residenza anagrafica ininterrotta.

Il pericolo di subire un provvedimento di cancellazione, in particolare di cancellazione residenza per irreperibilità, è sempre dietro l’angolo, anche considerato che la legge anagrafica (precisamente, l’art. 7, comma 3, del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223), oltre alla ordinaria procedura di irreperibilità accertata, prevede un’ipotesi di cancellazione “accelerata” per quanto riguarda gli stranieri che omettono il rinnovo della dichiarazione di dimora abituale.

La perdita residenza italiana, ovvero la perdita della residenza anagrafica, comporta quindi in automatico la perdita della possibilità di ottenere la cittadinanza italiana per residenza.

Spesso stranieri che subiscono la perdita di residenza italiana ci chiedono se possono comunque presentare la domanda di cittadinanza, avendo documenti in grado di dimostrare la loro presenza in Italia durante il tempo che va dalla cancellazione alla nuova iscrizione, ovvero durante il “buco di residenza”. La risposta è “no”.

Il Tar Lazio, ad esempio con la sentenza n. 9747/2014 del 29 maggio 2014, ha affermato che la residenza richiesta per poter presentare domanda di cittadinanza è quella anagrafica “alla cui assenza non è possibile ovviare mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare aliunde la presenza sul territorio”.

Dunque, “Non si rivela utile a configurare il presupposto della residenza legale ultradecennale il mantenimento di una situazione residenziale di mero fatto, essendo invece a tal fine necessario che la stessa sia stata accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe”.

Ne consegue che “l'interessato non può provare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica perché la legge demanda ai registri anagrafici l'accertamento della popolazione residente e coerentemente l'art. 1 d.P.R. n. 362/1994 e l'art. 1 c. 2 d.P.R. n. 572/1993 impongono che la prova della residenza sia fornita attraverso l'esibizione del certificato di iscrizione nell'anagrafe della popolazione residente”.

 Così, Consiglio di Stato, III^ Sezione, n. 6143/2011, sez. VI, 25 marzo 2009, n. 1788, Tar Lazio, sez. II - Quater, sent. n. 8741 del 6 agosto 2014, nn. 7858 e 5576 del 2013, n. 19121 e 10546 del 2012).

Quindi, residenza negata cosa fare? Bisogna concludere che l’unica possibilità per lo straniero che ha subito l'annullamento residenza italiana è quella di recuperare il suo sogno di presentare la domanda di cittadinanza italiana, senza dover attendere di nuovo 10 anni, è presentare un ricorso.

Due sentenze storiche dello Studio Legale Boschetti!

Il Tribunale di Milano, I^ sezione civile, con sentenza del 13 luglio 2023, ha accolto un ricorso presentato con il patrocinio dell'Avvocato Francesco Boschetti per la revoca del provvedimento di cancellazione della residenza anagrafica ricevuto da un cliente straniero.

Egli si era rivolto allo Studio Legale Boschetti perché era stato colpito da un provvedimento di cancellazione della residenza anagrafica per un buco di residenza di ben 4 anni! dal 1 settembre 2014 all'11 maggio 2018. Tale buco gli impediva di presentare la domanda di cittadinanza, sebbene egli fosse residente in Italia dal 2012.

Dunque abbiamo agito in giudizio al fine di vedere riaffermata la residenza del cliente nel periodo controverso, potendo dimostrare la sussistenza di una netta discrepanza tra la situazione formale e quella sostanziale in merito alla residenza del cliente stesso nel Comune di Milano, chiedendo pertanto la revoca del provvedimento di cancellazione anagrafica.

Richiamando autorevole giurisprudenza, abbiamo affermato che la residenza si sostanzia in una situazione di fatto che non sempre corrisponde alla situazione di diritto contenuta nelle risultanze anagrafiche: in caso di asimmetria a prevalere, ai fini civilistici, deve essere la res facti, in quanto ciò che davvero rileva non è tanto l'iscrizione formale nel registro anagrafico.

Abbiamo allegato al ricorso tutta una serie di documenti che attestavano la presenza continuativa e stabile del nostro cliente nel territorio del Comune di Milano, come titoli di studio conseguiti, buste paga e altra documentazione di lavoro, attestazione di aggiudicazione di un immobile, e il giudice li ha ritenuti idonei a dimostrare che il ricorrente, al di là del provvedimento formale di cancellazione anagrafica, non aveva mai abbandonato il territorio del Comune di residenza, mantenendovi la propria dimora abituale.

Con il ricorso, dunque, il cliente è riuscito a eliminare il buco di residenza che gli impediva di raggiungere i 10 anni di residenza ininterrotti che la legge n. 91/1992 prevede al fine di presentare la domanda di cittadinanza per residenza.

Ora che la sua residenza è continuativa e senza interruzioni, il nostro cliente può incorniciare al muro la sentenza del Tribunale di Milano, perché grazie ad essa l'ufficiale dei servizi demografici del Comune di Milano è obbligato a revocare il buco di residenza ed egli, all'improvviso, si trova con tutti i requisiti di legge per poter presentare la domanda di cittadinanza!

A tale sentenza ne è seguita un'altra, emessa il 9/4/2024 dal Tribunale di Ancona, il quale, ribadito preliminarmente che "Ciò che rileva ai fini della individuazione della residenza, intesa come dimora abituale, è dunque la permanenza in un luogo per un periodo prolungato apprezzabile (c.d. elemento oggettivo), dovendo tale elemento coniugarsi con l’intenzione di stabilirvisi stabilmente (c.d. elemento soggettivo), rivelata dalle proprie consuetudini di vita e dalle proprie relazioni familiari e sociali", ha ulteriormente rafforzato il principio di fondo, secondo cui "Le risultanze anagrafiche rivestono un valore meramente presuntivo circa il luogo di residenza effettiva e possono essere superate da una prova contraria, desumibile da qualsiasi fonte di convincimento (in tal senso, cfr., tra le tante, Cass., nn. 24422/2006 e 13151/2010)".

Il Giudice di Ancona, inoltre, ha rilevato giustamente, nel caso specifico, che "il procedimento di accertamento dello stato di irreperibilità e la conseguente cancellazione dall’Anagrafe della popolazione residente nel Comune di Ancona avrebbero richiesto non solo che il soggetto interessato fosse assente ma anche che non venisse rinvenuto alcun elemento da cui desumere la contraria volontà dello stesso di voler mantenere nel Comune di Ancona la sua residenza. Ebbene, in proposito, non emerge che il Comune abbia compiuto alcun accertamento in merito all’effettiva situazione personale del ricorrente il quale, per contro, dalla copiosa documentazione versata in atti, non appariva affatto irreperibile in concreto, potendo, anzi, ritenersi dimostrata la sua presenza nel territorio di detto Comune".

Pertanto, il Tribunale di Ancona, riconosciuta la validità e rilevanza della documentazione prodotta da parte ricorrente inerente il proprio percorso degli studi universitari, nonché i contratti di locazione stipulati nel periodo d'interesse sempre nel Comune in ogetto, ha riconosciuto "la sussistenza di una netta discrepanza tra la situazione formale e quella sostanziale in merito alla residenza del ricorrente [...]", e poiché "La res litigiosa del presente giudizio non è cristallizzata nel provvedimento di cancellazione e/o limitata alla valutazione formale della sua illegittimità ma si estende alla pretesa sostanziale che l'interessato ha inteso far valere e con cui si è prospettata l'invalidità dell'atto amministrativo, chiedendo la conseguente rimozione della situazione antigiuridica da esso creata", ha dichiarato la illegittimità del provvedimento di cancellazione anagrafica, disponendone la disapplicazione, e riconoscendo pertanto che la residenza dell'interessato si è protratta ininterrottamente nel periodo contestato dal Comune, con conseguente ordine di annotazione nei registri di stato civile.

Oggi i nostri clienti possono presentare la domanda di cittadinanza italiana per residenza perché, annullato il provvedimento del Comune, posseggono i 10 anni di residenza ininterrotta richesta dalla legge.

Fare ricorso per rimediare alla residenza interrotta o residenza cancellata

Le due sentenze sopra riportate dimostrato che il buco di residenza per la cittadinanza può essere rimosso con un ricorso al giudice civile, laddove si riesca a dimostrare la presenza continuativa e ininterrotta del richiedente durante il periodo controverso.

Ma facciamo un passo indietro.

Il Ministero dell’Interno, con la circolare n. 17 del 04.07.2011, ha riconosciuto che “le controversie in materia di iscrizione e cancellazione nei registri anagrafici della popolazione coinvolgono situazioni di diritto soggettivo, in quanto, come anche affermato dalla giurisprudenza formatasi in materia, l'ordinamento anagrafico della popolazione residente è predisposto non solo nell'interesse della p.a. alla certezza sulla composizione ed i movimenti della popolazione, ma anche nell'interesse dei singoli individui ad ottenere le certificazioni anagrafiche ad essi necessarie per l'esercizio dei diritti civili e politici. Inoltre - chiarisce ancora la giurisprudenza - tutta l'attività dell'ufficiale d'anagrafe è disciplinata in modo vincolato, essendo rigidamente definiti i presupposti per le iscrizioni, mutazioni e cancellazioni anagrafiche, onde l'amministrazione non ha altro potere che quello di accertare la sussistenza dei detti presupposti" (ad es., tra le altre, Cass. Civ., Sezioni Unite, n. 449/2000, TAR. Piemonte n. 211/2011, TAR. Lombardia, n. 1737/2010; TAR. Lazio, n. 5172/2009).

Ne consegue che il ricorso contro il provvedimento di cancellazione anagrafica può essere presentato non solo al Prefetto quale autorità sovraordinata, ma anche al Giudice Ordinario, secondo le norme dettate dal codice di procedura civile.

Il ricorso anagrafico può essere preceduto da un intervento non contenzioso che ricomprende:

  • L'istanza di accesso agli atti,che consente al difensore di ottenere gli atti del procedimento di cancellazione, e quindi di verificare che la stessa sia stata disposta nel rispetto della legge;
  • La diffida ad adempiere, laddove l'esame degli atti abbia fatto emergere il diritto soggettivo dell'interessato a richiedere la revoca della cancellazione anagrafica. Con la diffida si chiede all'Ufficiale di Stato Civile del Comune competente di procedere all'annullamento della cancellazione anagraficain autotutela.

Nel caso in cui lo straniero ha subito il diniego della residenza anagrafica in via di autotutela, l'unica strada possibile rimane il ricorso al giudice ordinario per vedere ripristinata la residenza anagrafica ininterrotta per poter presentare domanda di cittadinanza italiana.

Il nostro Studio si occupa delle istanze di accesso agli atti, delle diffide ad adempiere e dei ricorsi anagrafici in materia di cancellazione della residenza: solo un intervento legale ben strutturato può restituire la speranza a tanti stranieri, che per colpa di un “buco di residenza”, si vedono tagliati fuori dal poter presentare domanda di cittadinanza ai sensi dell’art. 9 della Legge n. 91/1992.

Cosa bisogna dimostrare per ottenere la revoca del provvedimento di cancellazione anagrafica? 

Se la cancellazione dello straniero è stata disposta per irreperibilità, balza certamente in evidenza l’art. 3, comma 2, del D.P.R. 30 maggio 1989, n. 223 - nuovo regolamento anagrafico della popolazione residente - per il quale: “Non cessano di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in altri comuni o all’estero per l’esercizio di occupazioni stagionali o per causa di durata limitata”.

Pertanto, lo straniero cancellato per irreperibilità, può richiedere la revoca del provvedimento dimostrando la “temporaneità della sua assenza”, ovvero che la sua dimora “in altri comuni o all’estero” è stata determinata dalla necessità di attendere ad un’occupazione stagionale, o comunque per una “causa di durata limitata”: prova da fornire con documenti, quali contratti, utenze, e quanto altro possa dimostrare la sua presenza sul territorio nazionale.

L'obiettivo, in tal caso, è fare luce su circostanze di cui l'Amministrazione non era a conoscenza, o che comunque non ha valutato, al momento dell'emanazione del provvedimento di cancellazione, al fine di ottenere una nuova valutazione dei fatti. 

In secondo luogo, per tutti i casi di cancellazione, il nostro Studio verifica, tramite l'istanza di accesso agli atti, che il provvedimento sia stato emesso nel rispetto delle forme di legge, avuto particolare riguardo alla legge anagrafica e al relativo regolamento di attuazione.

La revoca, pertanto, può essere richiesta anche per la presenza di vizi formali che invalidano il provvedimento, ad esempio, perché si accerta che è stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento, o perché, nel caso di irreperibilità tout court, sono mancati i "ripetuti accertamenti, opportunamente intervallati", per un arco temporale di almeno un anno, come da Circolare Istat del 5 aprile 1990, n. 21, o per vizi di notifica del provvedimento stesso, ecc.