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Ricorso contro il diniego del visto

La tua domanda di visto è stata respinta?
"Non ha fornito una giustificazione riguardo allo scopo e alle condizioni del soggiorno previsto?" Oppure: "la sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto non può essere stabilita con certezza?" O ancora: "le informazioni fornite per giustificare lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto non sono attendibili"?

Sono tutte formule stereotipate, spesso infondate! Rivolgiti a noi per far valere i tuoi diritti ed ottenere il visto ingiustamente negato. 

 Sempre più le rappresentanze diplomatiche italiane negano il visto di ingresso senza motivi fondati, e comunque all'esito di una parziale valutazione della documentazione offerta dal richiedente.

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Inadeguatezza della motivazione

Il più delle volte capita che la motivazione del diniego sia palesemente generica.

Peraltro, già il suo essere redatta - come i regolamenti comunitari consentono - a mezzo di formule meccanizzate e compilate a mezzo di “crocette”, indica la sua inadeguatezza sotto i profili del diritto di difesa, e in particolare del diritto del richiedente ad ottenere un provvedimento amministrativo motivato.

Deve ricordarsi, infatti, che, ai sensi dell’art. 3 della Legge sul procedimento amministrativo del 7 agosto 1990, n. 241 e successive modifiche, “Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l'organizzazione amministrativa, lo svolgimento dei pubblici concorsi ed il personale, deve essere motivato (…).

La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione, in relazione alle risultanze dell'istruttoria”.

Ebbene, molto spesso, la motivazione offerta dalle Autorità Consolari risultano delle formule vuote, prive del benché minimo riferimento alla vicenda concreta.

La motivazione, quindi, per la sua genericità, non risponde ai requisiti richiesti dall’art. 3, L. n. 241/90 in quanto “non consente di ricostruire l’iter logico-giuridico seguito dall’amministrazione ai fini della decisione” (così, ad esempio, Tar Lazio, Sezione Prima Quater, Sentenza del 6 aprile 2012, n. 3231).

Il ricorso al Tar del Lazio

L'unico modo concreto per opporsi al diniego del visto è proporre ricorso al giudice amministrativo, a cui occorre richiedere l'annullamento del provvedimento.

Ma prima di tutto, in via cautelare ed urgente, bisognerà chiedere al Tar, previo accertamento dei due presupposti del fumus boni iuris (fondatezza del ricorso ad una prima analisi) e periculum in mora (pericolo del ritardo), di ordinare all'Amministrazione il riesame del provvedimento alla luce dei motivi riportati nel ricorso.

L'obiettivo di vincere il ricorso è finalizzato non solo ad ottenere quello specifico visto negato, ma di creare un precedente favorevole nei confronti della stessa autorità consolare, laddove l'interessato, in futuro, si trovasse a presentare analoga domanda di visto d'ingresso per l'Italia.

Il diniego del visto

L’art. 32 del Codice Comunitario dei visti, istituito con il Reg. CE del 13.07.2009, n. 810/2009, indica i casi in cui il visto è rifiutato, vale a dire quando il richiedente:

  • presenta un documento di viaggio falso, contraffatto o alterato;
  • non fornisce la giustificazione riguardo allo scopo e alle condizioni del soggiorno previsto; 
  • non dimostra di disporre di mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno sia per il ritorno nel paese di origine o di residenza oppure per il transito verso un paese terzo nel quale la sua ammissione è garantita, ovvero non è in grado di ottenere legalmente detti mezzi; 
  • abbia già soggiornato per 90 giorni nell'arco del periodo di 180 giorni in corso, sul territorio degli Stati membri in virtù di un visto uniforme o di un visto con validità territoriale limitata; 
  • è segnalato nel SIS al fine della non ammissione; 
  • sia considerato una minaccia per l'ordine pubblico, la sicurezza interna o la salute pubblica, quale definita all'articolo 2, paragrafo 19, del codice frontiere Schengen, o per le relazioni internazionali di uno degli Stati membri e, in particolare, sia segnalato nelle banche dati nazionali degli Stati membri ai fini della non ammissione per gli stessi motivi; 
  • non dimostra di possedere un'adeguata e valida assicurazione sanitaria di viaggio, ove applicabile (lett. a); oppure, qualora vi siano ragionevoli dubbi sull'autenticità dei documenti giustificativi presentati dal richiedente o sulla veridicità del loro contenuto, sull'affidabilità delle dichiarazioni fatte dal richiedente o sulla sua intenzione di lasciare il territorio degli Stati membri prima della scadenza del visto richiesto (lett.b).

L'eventuale segnalazione al SIS implica un ulteriore intervento: l'interessato, preferibilmente per mezzo di un legale, dovrà richiedere l'accesso al Sistema d'Informazione Schengen per scoprire quale Stato, e precisamente quale Autorità ha effettuato la segnalazione.

In seconda battuta, bisognerà - sempre che ne sussistano i presupposti - richiedere la cancellazione dell'iscrizione. Essa, infatti, rappresenta un marchio che finché è presente impedisce allo straniero di fare ingresso negli Stati dell'Area Schengen.

Il c.d. "rischio migratorio"

Il rischio migratorio è uno dei motivi di diniego più contestati, probabilmente anche a causa della delicata situazione di politica internazionale che stiamo vivendo.

Il rischio definito "migratorio", infatti, è che il richiedente utilizzi il visto d'ingresso in modo strumentale, non avendo intenzione di rientrare nel proprio Paese alla scadenza del visto stesso.

Si deve quindi scongiurare il pericolo che lo straniero faccia ingresso in Italia e vi rimanga, eludendo la normativa in materia d'immigrazione, in modo particolare quella relativa ai flussi d'ingresso.

Laddove si intenda impugnare un provvedimento di diniego del visto fondato sul "rischio migratorio", l'interessato dovrà dimostrare di essere titolare, nel proprio Paese di residenza, di situazioni economiche, personali, familiari, lavorative, tali da far ritenere che, decorso il termine del visto, egli abbia tutta la motivazione a farvi ritorno, piuttosto che stabilirsi clandestinamente in Italia, avendo appunto, nello Stato di provenienza, il proprio centro di interessi.

In altre parole, bisogna riuscire a dimostrare che il richiedente il visto possiede una forte convenienza a rientrare nel Paese di residenza, e che, di contro, il suo interesse a soggiornare in Italia sia soltanto temporaneo e circoscritto al breve periodo per cui si è fatta richiesta.

Per questo motivo, il paragrafo 7.12 della decisione della Commissione UE del 19.3.2010 fa uso dei seguenti indici individuali di stabilità, che dovrebbero far desumere l'intenzione del soggetto di far rientro nello Stato di provenienza alla scadenza del visto per l'Italia:

  • La sussistenza, in capo del richiedente il visto, di vincoli familiari o altri legami personali nel paese di residenza;
  • vincoli familiari o altri legami personali negli Stati membri; lo stato civile;
  • la situazione lavorativa (livello salariale, se lavoratore dipendente);
  • la regolarità delle entrate (lavoro dipendente, lavoro autonomo, pensione, redditi da investimenti, ecc.) del richiedente o del coniuge, dei figli o delle persone a carico;
  • il livello del reddito;
  • lo status sociale nel paese di residenza (ad esempio eletto a una carica pubblica, rappresentante di una ONG, professione di alto status sociale come avvocato, medico, docente universitario);
  • il possesso di una casa o di un bene immobile. 

Il medesimo paragrafo specifica anche questi ulteriori aspetti da verificare:

  • Precedenti soggiorni irregolari negli Stati membri;
  • precedenti abusi del sistema di sicurezza sociale degli Stati membri;
  • successione di varie domande di visto (per soggiorni di breve o di lunga durata) presentate per scopi diversi e senza rapporto fra di loro;
  • credibilità del soggetto ospitante, quando viene presentata una lettera d'invito. 

Il Tar Lazio, in merito alla rilevanza dei suddetti indici, specifica poi che "le valutazioni in materia di rilascio dei visti non si accentrano principalmente sulla situazione socio-economica dell’invitante bensì, in modo più pregnante, sull’interesse del cittadino straniero a rientrare in patria alla scadenza del visto, da testare sulla base dei legami economici, lavorativi e familiari con il paese di origine..." (Così, tra le tante, TAR LAZIO - Sez. III^ TER n. 11336/2014). 

Altre cause di diniego

Tante altre volte il diniego del visto si fonda sulla motivazione che il richiedente non ha fornito giustificazioni precise in merito allo scopo del soggiorno.

Qui si deve far menzione innanzitutto dell’art. 5 del Trattato di Schengen, ratificato dall'Italia con la legge n. 388/93, poi confermato dall'art. 5, comma 1, lettera c), Reg. CE n. 562/06, il quale prevede che per l'ingresso nel territorio dei Paesi contraenti lo straniero deve esibire "i documenti che giustificano lo scopo e le condizioni del soggiorno previsto e disporre dei mezzi di sussistenza sufficienti, sia per la durata prevista del soggiorno, sia per il ritorno nel paese di provenienza". 

Tali formalità debbono, in particolare, essere rispettate per il rilascio del "visto uniforme" avente durata non superiore a tre mesi (artt. 10, 11 e 15 del Trattato).

A sua volta, l'art. 4, comma 3, d. lgs. n. 286/98, prevede che per conseguire il visto d’ingresso lo straniero deve dimostrare "di essere in possesso di idonea documentazione atta a confermare lo scopo e le condizioni del soggiorno, nonché la disponibilità di mezzi di sussistenza sufficienti per la durata del soggiorno e, fatta eccezione per i permessi di soggiorno per motivi di lavoro, anche per il ritorno nel Paese di provenienza";

In ultimo, il Decreto del Ministero degli Affari Esteri n. 850 dell’11 maggio 2011, recante la definizione delle tipologie dei visti d'ingresso e dei requisiti per il loro ottenimento, all’art. 4 richiama le prescrizioni contenute nel Codice comunitario dei visti, da osservare in occasione dell'esame delle richieste di visto di breve durata e rivolte alle rappresentanze diplomatico-consolari, con l’avvertenza che “in caso di negativo riscontro sull'autenticità e sull'affidabilità della documentazione presentata, nonché sulla veridicità e sull'attendibilità delle dichiarazioni rese, la rappresentanza diplomatico-consolare si asterrà dal rilascio del visto”.

Sul punto, bisogna ricordare, a chi intende fare ingresso in Italia, l'importanza della documentazione da allegare all'istanza di visto, che deve essere completa, in base alla tipologia di visto da richiedere, e regolare (in un caso, il visto è stato negato perché l'interessato non aveva prodotto valido certificato da cui potesse evincersi il legame di parentela con la persona invitante. 

In un altro caso, il visto è stato negato perché la lettera d'invito non era stata firmata dall'invitante).

Inoltre, va ricordata l'importanza dell'intervista che lo straniero deve sostenere presso la competente Ambasciata (in un caso, l'autorità consolare ha negato il visto per motivo di studi poiché lo straniero, in sede di colloquio, ha dimostrato di conoscere ben poco la lingua italiana: situazione che ha precluso la concessione del visto, dal momento che il corso di studi scelto dall'istante era un corso di lingua italiana avanzato).

Diniego del visto per ricongiungimento familiare

Il diniego del visto per ricongiungimento familiare può interessare le due fasi del procedimento: può consistere cioè nel diniego del nulla osta, che in tal caso viene emesso dallo Sportello Unico per l’Immigrazione presso la competente prefettura, oppure può concretizzarsi nel diniego del visto per ricongiungimento familiare, che viene emesso dall’Ambasciata italiana, pur in presenza del nulla osta, quando vengono rilevati problemi di autenticità o contraffazione della documentazione.

Nel caso abbia subito un diniego del visto per ricongiungimento familiare, lo straniero può presentare ricorso al giudice ordinario del luogo in cui ha stabile dimora.

Dunque la giurisdizione non è del Tar, bensì del Giudice Ordinario, trattandosi di materia di diritti soggettivi che investono l’unità familiare degli stranieri.
Presentare ricorso, nei casi di visto rifiutato per ricongiungimento familiare, è fondamentale se non si vuole vedere negato il proprio diritto all’unità familiare.

Il ricorso si presenta contro il Ministero dell’Interno e il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e si svolge con le modalità del rito sommario, una procedura più celere gestita dalla Sezione specializzata del Tribunale per il diritto dell'immigrazione.

È fondamentale, per lo straniero che ha avuto un visto rifiutato, rivolgersi a un avvocato specializzato in diritto dell’immigrazione ed esperto in diniego del visto per ricongiungimento familiare. Il nostro Studio ha diversi casi favorevoli, tra cui quello di un cliente a cui era stato notificato un diniego visto di reingresso, per essersi allontanato dall’Italia oltre il periodo consentito.

Egli ha avuto l’accoglimento del ricorso con pieno riconoscimento del diritto all’unità familiare, essendo titolare di un permesso di soggiorno per motivi familiari, seppure scaduto, che il cliente aveva ottenuto per il tramite del fratello di cittadinanza italiana.

Diniego del visto turistico

Il visto turistico viene negato quando dalla documentazione presentata dallo straniero non si evincono lo scopo e le condizioni del soggiorno, la disponibilità dei mezzi di sussistenza, il requisito dell’alloggio e dell’invito da parte di cittadino residente in Italia (italiano o straniero regolarmente soggiornante), o quando l’Ambasciata ritiene esistente il c.d. “rischio migratorio”, già trattato sopra (ovvero che lo straniero non rispetti la scadenza del visto, perché il visto turistico è per lui strumentale per insediarsi clandestinamente in Italia).

Per integrare il requisito della prova dei mezzi di sussistenza è fondamentale anche presentare una fidejussione bancaria, insieme ai documenti per il rilascio del visto turistico.

Nei casi di visto rifiutato per turismo è possibile presentare ricorso al Tar del Lazio, con il patrocinio di un avvocato, possibilmente esperto in diritto dell’immigrazione e diniego del visto per turismo, previo rilascio di una procura speciale, che deve essere tradotta e legalizzata, o apostillata se lo Stato in cui essa viene formata aderisce alla Convenzione Aja del 1961.
Il ricorso contro il diniego del visto per turismo deve basarsi sull’esistenza dei requisiti che l’Ambasciata italiana ritiene carenti.

In particolare, sarà essenziale dimostrare che non sussiste il "rischio migratorio" perché lo straniero ha una situazione in patria che lo spinge al rientro, ad es. interessi commerciali, lavorativi, familiari. Anche possedere immobili è un indice di interesse al rimpatrio spontaneo alla scadenza del visto.

Diniego del visto per il lavoro autonomo o subordinato

Il diniego del visto per lavoro, autonomo o subordinato, deve essere impugnato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale, trattandosi di un interesse legittimo e non di un diritto soggettivo.

Anche in questo caso il ricorso potrà avere ad oggetto il diniego del nulla osta al lavoro, ovvero del visto d’ingresso, una volta che il nulla osta è stato rilasciato, ma l’Ambasciata ritiene di dover negare il visto d’ingresso.

Il diniego del visto di lavoro autonomo o subordinato viene giustificato sulla base della insussistenza di uno dei requisiti stabiliti dalla legge, in particolare quando vi sono dubbi sull’autenticità del contratto di lavoro subordinato o autonomo, ovvero quando le Autorità sospettano che il rapporto lavorativo da instaurare è in realtà un mezzo fraudolento per eludere le norme sul diritto dell’immigrazione. Il diniego può anche derivare dal fatto che manchi una quota disponibile per l’ingresso, dall’ultimo decreto flussi, o che lo straniero non abbia presentato tutta la documentazione necessaria a corredo dell’istanza.

Diventa fondamentale presentare ricorso contro il diniego del visto per lavoro autonomo o subordinato, previa valutazione dei requisiti e della sua fondatezza, se non si vuole rinunciare al proprio diritto a fare ingresso in Italia per motivi di lavoro.

Ricorso contro il diniego del visto con lo Studio legale Avvocato Francesco Boschetti